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ALLUVIONE CHE PAURA….oggi come nel 1966..


Acqua, Piave, Livenza, Monticano …. ansia…paura…. esondazioni, piena, acqua alta, torrenti, evacuare, stato di allerta, unità di crisi … parole che sentiamo incessantemente in questi giorni… immagini alle tv locali che colpiscono.

Un territorio quello italiano che rivela ogni giorno la sua fragilità e la sua vulnerabilità, che mette paesi e cittadini a dura prova.

Il Consiglio Nazionale dei Geologi afferma “L’Italia è un Paese MORFOLOGICAMENTE FRAGILE perché è GEOLOGICAMENTE GIOVANE. E la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti attraverso l’intensa attività sismica e vulcanica ed i continui e ricorrenti fenomeni erosivi (frane, alluvioni, valanghe, ecc.) che si verificano con tempi di ritorno sempre più brevi e anche dopo solo poche gocce d’acqua. Ma l’Italia è anche un Paese ANTROPICAMENTE malato. Anche in questo caso la dimostrazione è sotto gli occhi di tutti: urbanizzazione selvaggia; scellerato consumo del suolo; disboscamenti senza programmazione; quartieri costruiti negli alvei; disprezzo e violazione di ogni norma di pianificazione; rinvii di spese indispensabili; taglio progressivo dei fondi per il rischio idrogeologico”. Il passato e il presente tragico dovrebbero farci riflettere e farsì che la politica imbocchi delle scelte programmatiche che abbiano come priorità la salvaguardia dell’Italia e degli italiani. Il Veneto ha imboccato questa strada con i nuovi bacini di laminazione dopo le piene del 2010 che ora si sono dimostrati utilissimi; la programmazione di tenere vuoti i laghi alpini per le emergenze, le unità di crisi con esperti e volontari…servono risorse per poter programmare la salute del proprio territorio e l’Autonomia permetterebbe tutto ciò.

La natura è forte e impetuosa e non perdona.

Il Veneto è colpito al cuore nella sua bellezza, nel suo paesaggio.

Un Veneto forte ma vulnerabile.

Un Veneto di grande dignità oggi come allora che non si lamenta ma si alza le maniche e si da da fare per risolvere l’emergenza. Una sinergia di persone e mezzi che non si abbattono mai.

Vi ripropongo un pezzo che avevo scritto per ricordare l’alluvione del 1966… sperando che i mezzi di oggi e le capacità siano capaci di far si che la forza della natura non porti a tutte quelle perdite umane..

 

Mia nonna Maria, molte volte, mi ha raccontato, quella giornata del 4 novembre del 1966, con parole che rendevano tangibile, anche dopo anni, il senso di disperazione che l’alluvione le aveva portato. Lei, giovane donna vedova, aveva cresciuto la sua bambina facendo tutti i lavori che riusciva per rendere bella e confortevole la sua casetta di Negrisia.  Era il suo punto fermo dopo la sofferenza.

Pioveva da diversi giorni.

Il cielo rimase grigio-scuro per tutta la giornata, carico di nubi, basse e veloci spinte da Sud-Est, da un vento di scirocco tiepido ed impetuoso che soffiò facendo sì che la piena travolgente del Piave si scontrasse contro un’alta marea mai vista prima.  Le piogge persistenti del  2 e 3 novembre, precipitate sul Nordest, dalle Alpi al mare, ingrossarono i fiumi a livelli di sei-sette metri sopra il livello di guardia.

Fu così il Piave a Negrisia e a San Donà.

Si aggiunsero altre concause a rendere un evento meteorologico  eccezionale in un evento drammatico.

Gli impianti della Bonifica furono tutti attivati al sollevamento, i collettori delle acque alte, su cui si sarebbe dovuto pompare l’acqua dell’esondazione, erano già in piena per l’effetto delle straordinarie precipitazioni a monte.

Le torbide acque del Piave e del Livenza, già nelle prime ore del giorno 4, raggiunsero la pianura.

Infine, la violenta mareggiata e la conseguente piena eccezionale, impedirono ai due fiumi e ai canali emissari delle Bonifiche il deflusso a mare, determinando ritardi che aggravarono la pericolosità della situazione.

Il Piave continuava  a rimontare impetuoso e con un suono sordo e violento.  Era controllato in molti punti.

La paura della catastrofe si leggeva  nei volti pallidi delle persone e  nei loro sguardi smarriti e impotenti.

Quella notte fu lunga perché ci si apprestava a vegliare  avendo la certezza che qualcosa di drammatico sarebbe successo.

Gli altoparlanti dalle strade  gridavano ripetutamente agli abitanti di non dormire, di tenersi pronti all’evacuazione e di stare calmi in attesa di ordini.

I parroci suonano le campane nel modo più forte possibile per avvisare i paesani, per tenerli svegli .

La notte avanzava  e il livello delle acque continua a crescere raggiungendo i 7 metri e mezzo.

Alle 21,30 il Piave rompe a Negrisia sull’argine sinistro.

Ecco! Ciò che si aspettava con paura era arrivato. La piena travolgente del Piave si scatenò con una furia enorme.  La nonna e la mamma mi raccontarono che scapparono tutti ai piani superiori delle case lontane.

Nel loro ricordo,vivo il senso di miseria e freddo che lascia l’acqua che attraversa una casa e travolge tutto. L’umidità che penetra i muri e le ossa delle persone lasciando dolore nel corpo e nell’anima.

Nel frattempo uomini e militari cercavano di arginare con sacchi di sabbia l’impeto dell’acqua.

L’acqua proseguiva la sua furia e finirono sotto acqua centinaia di migliaia di ettari San Donà, Noventa di Piave e Cessalto compresi, si trasformano in un unico, immenso lago.

 

Nella campagne buie e annientate dalla furia dell’acqua si sentono urla  di persone, bambini, animali cani, maiali, mucche che erano insieme ai campi erano il sostentamento delle famiglie rurali venete.

Gli anziani non vogliono lasciare le loro case; faticano a staccarsi.

In questo grande lago che va da Negrisia a San Donà fino a Jesolo le persone e gli animali vengono portati in salvo con le barche.

Non c’è coordinamento! Ognuno si arrangia come meglio può. Arriva l’esercito ma non c’è coordinamento degli aiuti.

La lunga notte lascia lo spazio alle luci dell’alba che mostrano uno scenario tremendo: persone sopra le case, animali che hanno cercato di salvarsi come potevano, oggetti personali, piatti, vestiti, cornici con le foto dei racconti di una vita che galleggiano… tutto travolto dall’impeto dell’acqua.

Era il 1966 la tivù facevano vedere solo l’alluvione a Firenze.  Ma della zona del Piave e di Venezia non si parlava.

Arrivò in visita il Presidente della Repubblica Giuseppe Saragat. Visita i luoghi alluvionati, si commuove incontra gli sfollati ma  viene contestato e gli tirano addosso fango. La gente è arrabbiata, si sente abbandonata, lasciata sola. Saragat rimane bloccato e deve tornare indietro, con la macchina finalmente tutta infangata.

La conta dei danni è drammatica. Le perdite sono ingentissime nessuno pensava che la piena raggiungesse quelle misure. La catastrofe commuove tutti e arriveranno aiuti dall’Italia e dal mondo.

Lo Stato elargisce dei risarcimenti e quasi tutti ci hanno guadagnato. Sono pochi quelli che ci hanno rimesso veramente: sono soprattutto quelli che hanno avuto la casa sott’acqua per tanto tempo. Non c’è controllo si ottiene anche senza chiedere.

I tempi dopo l’alluvione saranno tempi duri per la campagna, le fattorie agricole e per il ritorno alla vita normale”.

Una tragedia che è rimasta impressa nei ricordi di chi l’ha vissuta e quando il Piave si carica d’acqua e si fa impetuoso ritorna la paura della piena.

Alberta Bellussi

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