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Tutti conoscono “La Leggenda del Piave” e non solo i veneti …. quel Il Piave mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il 24 maggio”…. lo abbiamo cantato tutti almeno una volta nella vita con impeto e orgoglio.

È senz’altro la canzone patriottica più nota ed amata del vasto repertorio esistente sulle canzoni di guerra.

Sono quattro strofe in cui l’autore del brano, Giovanni Ermete Gaeta, compositore e poeta dialettale napoletano noto con lo pseudonimo di E.A.Mario, ripercorre alcuni momenti della Grande Guerra.

È una canzone scritta così bene che ogni volta che la cantiamo ci sembra di rivivere quei momenti storici. Una storia vissuta in modo tenace e cruento nello scenario del greto del nostro amato fiume Piave.

Concedetemi di aprire una piccola  parentesi su quel fiume che tanto amo e che vivo in lungo e in largo con la mia bicicletta; è un fiume che ha un legame indissolubile con chi ci è nato vicino, quasi da determinarne delle caratteristiche caratteriali e antropologiche; quella razza Piave di cui molti di noi ne sentono l’appartenenza. Il Piave è il quinto fiume d’Italia per lunghezza fra quelli sfocianti in mare. I suoi principali affluenti alpini di destra raccolgono le acque delle principali valli glaciali: l’ Ansiei raccoglie le acque della valle Auronzana e sfocia nel Piave a Cima Gogna; il Boite passa lungo la valle Ampezzana e sbocca a Perarolo ; il Maè fluisce lungo la valle Zoldana ed esce a Longarone, infine il Cordevole scorre lungo la valle Agordina e sfocia nel Piave presso Sedico.

Il Piave nasce a circa 2000 metri di altitudine dalle pendici del monte Peralba, nelle alpi Carniche e sfocia a Cortellazzo nel comune di Jesolo, presso la laguna del Mort. Il bacino idrografico del Piave, presenta un’estensione di circa 4013 kmq di cui circa 3900 kmq in territorio Veneto ed è, a livello regionale, il bacino più esteso. Un’ampia zona del bacino è compresa nel territorio della Provincia di Treviso, dove il fiume scorre per un tratto di circa 60 km, da Segusino a Zenson di Piave. Il fiume Piave ha un bacino prevalentemente montano, che si considera idrograficamente chiuso a Nervesa della Battaglia e sfocia in Adriatico presso Porto Cortellazzo dopo un percorso di circa 222 km. In quasi tutta questa zona, l’alveo fluviale si distende su un ampio letto ghiaioso che in alcuni punti raggiunge i 4 km di larghezza e si disperde in una serie di rami secondari che lambiscono isole di deiezione ed erosione dette “grave”.

Il Piave nasce al femminile, la Piave, per il valore di fertilità che hanno sempre avuto le sue acque e la generosità dei frutti che questa fertilità portava. A determinare il mutamento al maschile è stata proprio la Leggenda del Piave. Quel “il Piave mormorò…” cantato dai soldati, mascolinizzò il fiume.

E dopo questa piccola ma doverosa parentesi geofisica ritorniamo alla composizione di Gaeta.  “La Leggenda del Piave” cominciò a circolare fin da subito; Raffaele Gattordo, un cantante amico di Gaeta che si esibiva con il nome d’arte di Enrico Demma, mentre si trovava al fronte in un reparto di bersaglieri, cominciò subito a cantare questo brano.

Era un canzone che entusiasmava dal primo ascolto per i suoi versi patriottici e ricercati, per la soddisfazione per la grande battaglia vinta, per  la musica orecchiabile a tono di marcia. In poco tempo questa canzone divenne molto popolare fra le truppe italiane. Accadde infatti che il generale Armando Diaz inviò all’autore un telegramma di congratulazioni che diceva: “La vostra Leggenda del Piave al fronte è più di un generale”.

Il brano fu popolarissimo anche dopo la fine del conflitto.  Venne eseguito il 4 novembre 1921 all’inaugurazione del monumento al milite ignoto, al Vittoriano di Roma. Dal  1943 e il 1946, La canzone del Piave fu adottata come inno nazionale, per essere poi sostituita dal “Canto degli Italiani” di Goffredo Mameli.

Nel novembre 1917, dopo lo sfondamento austriaco a Caporetto la linea del fronte si era attestata sul fiume Piave. Nel giugno 1918 l’Austria provò a sferrare il colpo definitivo: l’offensiva iniziò il 15 giugno, ma l’esercito italiano riuscì a fermarla e il 22 giugno la ‘battaglia del Solstizio’ (come la chiamò il poeta Gabriele D’Annunzio) terminò con la vittoria italiana. In quei giorni Gaeta era al lavoro in un ufficio postale. Furono parole che gli uscirono dal cuore, come raccontò lui stesso, tre strofe che scrisse di getto sui moduli di servizio interno che oggi si trovano  nel Museo storico della comunicazione di Roma.

Nella prima strofa si fa riferimento all’inizio della guerra quando, il 24 maggio 1915, i soldati marciarono verso il fronte, a difesa della frontiera. Nella seconda parte del brano, si racconta della disfatta di Caporetto. In seguito alla quale il nemico riuscì a Calare fino al Piave, provocando un’ondata di profughi e sfollati provenienti dalle zone man mano attraversate. Nella terza strofa, drammatica, si racconta del simbolico “No” del Piave che grazie alla sua improvvisa e copiosa piena costituì davvero un ostacolo insormontabile per l’esercito austriaco e dei fanti italiani al proseguire dell’avanzata.

La quarta ed ultima parte del celebre inno, che fu aggiunta alle prime tre il 9 novembre 1918, dopo la fine della guerra, si riferisce alla battaglia del Solstizio, con il nemico respinto fino a Trento e Trieste e la vittoria italiana. A celebrare la quale l’autore immagina siano risorti i patrioti uccisi dagli austriaci: Guglielmo Oberdan, Nazario Sauro e Cesare Battisti.

Alberta Bellussi

 

II Piave mormorava calmo a placido al passaggio

dei primi fanti, il ventiquattro maggio:

l’esercito marciava per raggiunger la frontiera

e far contro il nemico una barriera.

Muti passaron quella notte i fanti:

tacere bisognava, e andare avanti!

S’udiva, intanto, dalle amate sponde,

sommesso e lieve, il tripudiar dell’onde.

Era un presagio dolce e lusinghiero.

Il Piave mormorò: “Non passa lo straniero!”

 

Ma in una notte trista si parlò di tradimento,

e il Piave udiva l’ira a lo sgomento.

Ah, quanta gente ha vista venir giù, lasciare il tetto

per l’onta consumata a Caporetto.

Profughi ovunque dai lontani monti

venivano a gremir tutti i suoi ponti.

S’udiva, allor, dalle violate sponde

sommesso e triste il mormorio dell’onde:

come un singhiozzo, in quell’autunno nero

il Piave mormorò: “Ritorna lo straniero!”

 

E ritornò il nemico per l’orgoglio e per la fame,

volea sfogare tutte le sue brame.

Vedeva il piano aprico, di lassù, voleva ancora

sfamarsi e tripudiare come allora.

“No!” disse il Piave, “No!” dissero i fanti.

“Mai più il nemico faccia un passo avanti”

Si vide il Piave rigonfiar le sponde,

e come i fanti combattevan le onde.

Rosso del sangue del nemico altero,

il Piave comandò: “Indietro, va’, straniero!”

 

Indietreggiò il nemico fino a Trieste, fino a Trento.

E la Vittoria sciolse le ali al vento!

Fu sacro il patto antico: tra le schiere furon visti

risorgere Oberdan, Sauro a Battisti.

Infranse, alfin, l’italico valore

le forche e l’armi dell’Impiccatore.

Sicure l’Alpi… Libere le sponde…

E tacque il Piave: si placaron le onde

sul patrio suolo, vinti i torvi Imperi,

la Pace non trovò né oppressi, né stranieri!