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Il Veneto è una regione dove la tradizione culinaria cammina a pari passo con gli eventi del calendario: ogni festa ha la sua pietanza o dolce che la caratterizza così anche il Carnevale.

Quanti di noi in questo periodo non hanno affossato il naso dentro lo zucchero a velo di una morbida frittella ripiena di crema o zabaione?

Beh io si con grande soddisfazione.

Ma quale è la storia di questo dolce carnascialesco?

La “fritoea o fritola” in italiano frittella è la regina dei dolci veneziani che vive il suo momento magico a Carnevale.   E’ considerata, da sempre,  il dolce nazionale della Repubblica Serenissima.

La si trova e si mangia  non solo a Venezia, ma in tutto il territorio veneto-friulano, fin quasi alle porte di Milano.

In particolare le fritole veneziane vantano una storia che risale alla seconda metà del ‘300 e la loro ricetta è una delle più antiche conservate in un documento di gastronomia, oggi custodito a Roma presso la Biblioteca Casanatense.

La versione rinascimentale delle fritole fu inserita negli appunti di cucina di Bartolomeo Scappi contenuti in una miscellanea di documenti al Museo Correr a Venezia.

Nell’antichità  le fritole  venivano  fatte solo dai fritoleri che ,nel ‘600, per sottolineare la loro importanza e ufficialità  si costituirono in corporazione. La corporazione era formata da settanta componenti all’origine e  ognuno aveva la  propria area dove poteva esercitare in esclusiva l’attività commerciale,  con la garanzia che a loro sarebbe potuti succedere solo i figli. In questo modo  tramandavano   l’arte e l’attività in famiglia di padre in figlio.

Nel Settecento la fritola fu proclamata “Dolce Nazionale dello Stato Veneto” ma non è chiaro se, nel solo periodo carnevalesco, visto che la frittura veniva fatta in grasso di maiale, o durante tutto l’anno con la versione fritta nell’olio.

Questa attività ebbe fine solo negli ultimi anni dell’800.

Nell’arte veneta troviamo  diversi quadri e immagini del ‘600/700 che raffigurano “la venditrice e il venditore di fritole”;  i cibi fritti, venduti agli angoli delle strade erano diffusissimi in diverse parti d’Italia – e d’Europa – già nel ‘300 , tanto da essere entrati nella raffigurazione al pari degli altri mestieri. Le frittelle venivano infilate in uno spiedo per poter essere mangiate ancora calde, senza ungersi le dita.

Sono molti anche i passi letterari nei quali si parla di questo gustoso dolce.

Secondo quanto riportato in un libro antico, «alle fritole s’accompagnava la malvasia, vino origi­nario di Malvasia, città dell’Epiro, l’antica Epidauro”.

Nel 1800 il nobiluomo veneziano Pietro Gasparo Moro  descrive così i fritoleri: «Hanno sempre sul davanti un pannolino che s’assomiglia al grembial delle donne, che sembra venuto allora fuor dal bucato. Tengono in mano un vasetto bucherellato con cui gettano del continuo zucchero sulla mercie, ma con tal atteggiamento che par vogliano dire: e chi sente l’odore e il sapore di questa cosa che noi inzuccheriamo?».

Mentre lo storico Giovanni Marangoni scriveva: «Cuocitori e venditori a un tempo, impastavano la farina sopra ampi tavolati per poi friggerle con olio, grasso di maiale o burro, entro grandi padelle sostenute da tripodi. A cottura ultimata le frittelle venivano esposte su piatti variamente e riccamente decorati, di stagno o di peltro. Su altri piatti, a dimostrazione della bontà del prodotto venivano esibiti gli ingredienti usati: pinoli, uvette, cedrini».

Della frittella parla anche Goldoni nella sua Commedia il Campiello scritta nel 1756.

Ma fritola  veneziana contagiò anche la cucina ebraica, che a Venezia ha uno dei ghetti più antichi, che ne fece una propria versione; ancora oggi viene preparata per la festa del Purim.

La frittella originale rimane comunque quella veneziana, in tutto il Veneto si sono diffuse ricette locali, dove la si trova in tantissime varianti.

La ricetta originale della fritola veneziana

Ingredienti

Farina bianca 00

Uvetta sultanina

Zucchero

Uova

Latte

lievito di birra

zucchero vanigliato

sale

olio di semi per la frittura

aromi (buccia di limone o arancio).

Preparazione

Mescolare in una terrina la farina con latte, uova e zucchero, facendone un impasto abbastanza tenero,  aggiungere un pizzico di sale, un po’ di lievito di birra , uva sultanina bagnata ed infarinata cercando che tutto si amalgami.

Lasciare lievitare il composto, coperto con un tovagliolo, in un luogo tiepido, per alcune ore.

Lavorare di nuovo il composto, aggiungendo, se occorre, un po’ d’acqua per avere un impasto fluido.

Versare a cucchiaiate l’impasto in una padella con molto olio bollente, e quando si rapprende, voltarlo con una schiumarola fino a che prende un color marrone chiaro.

Quando sono pronte, levarle con una schiumarola, posare su una carta assorbente, servendole coperte da un velo di zucchero vanigliato.

Alberta Bellussi