By 

IL SALE: l’oro di Venezia


La principale forma di ricchezza per Venezia era costituita dal commercio del sale, ricavato dai giacimenti di acqua salata, le cosiddette saline

Questo popolo” si diceva dei veneziani “non ara, non semina, nè vendemmia, eppure ha tanta ricchezza”.

La Serenissima iniziò a essere il centro più importante di produzione di sale nell’alto Adriatico già dal IX secolo con le saline che nel Medioevo occupavano almeno metà della laguna, oltre a quelle di Chioggia e delle diverse isole come Sant’Erasmo e Murano. Poi le progressive conquiste di Cervia, di Canne in Puglia e via via fino a Creta e a Cipro ampliarono notevolmente il mercato e la sua forza economica in quanto, a questo prodotto prezioso, venivano applicate due imposte: una sul suo valore, pari alla quinta parte del prezzo, e l’altra sul suo peso, il famigerato dazio, per cui ogni quindici giorni i “salinari” consegnavano il ricavato ai procuratori di San Marco: un fiume di denaro che entrava fresco nelle casse dello Stato.

Sul finire del 1200 i Veneziani, diventati ormai incontrastati padroni di Cervia, potevano farsi inviare dai centomila ai centocinquantamila canestri (“corbe”) di sale romagnolo l’anno, pari a due-tremila tonnellate, da scambiare poi con i prodotti delle città di terraferma: grano, vino, olio, legnami. La stessa cosa succedeva sul mar Tirreno per la rivale repubblica marinara di Genova che si riforniva di sale dalle isole Baleari e dalle saline siciliane del ragusano e del trapanese per poi destinarlo ai mercati di Torino e della Savoia. Cosicché si può dire che il sale condizionò per secoli l’economia e la vita di molti popoli, dando spesso luogo a numerosi e violenti scontri, anche armati, denominati appunto “guerre del sale”, cui non si sottrassero città come Ravenna, Ferrara, Verona e la stessa Padova.

Ma la grande intuizione di Venezia, messa in campo e mantenuta almeno fino al Seicento, fu la duplice funzione assegnata al sale. Innanzitutto quale merce di scambio molto ambita ma poi anche come «carico di ritorno» delle navi che, rientrando dai commerci con l’oriente con materiali leggeri come tessuti e spezie, venivano opportunamente zavorrate col sale, dietro promessa ai mercanti che il Comune avrebbe acquistato il loro intero carico.

IL MONOPOLIO: Con il sale gestito in regime di monopolio si garantivano grandi e continuati introiti per la Repubblica.  I Provveditori al sale si occupavano degli interventi di difesa dei lidi verso il mare e delle grandi opere di protezione dei litorali, lavori fondamentali per la sopravvivenza fisica della Serenissima, si occupavano anche della costruzione dei relativi magazzini nei punti strategici della città, come alle Zattere e alla punta della Dogana.

«Inoltre essi partecipavano finanziariamente alla ricostruzione dei quartieri distrutti dagli incendi, alla costruzione degli edifici pubblici, quali il Palazzo ducale o il palazzo dei Procuratori di San Marco, all’abbellimento delle chiese finanziando i più grandi architetti, gli scultori, i pittori più celebri, i doratori…».

L’edificazione dei palazzi durava talvolta alcuni decenni, aveva bisogno di finanziamenti prolungati e di un sistema che offriva buone garanzie. Non solo, in tal modo veniva raggiunto un altro importante obiettivo: Venezia con la costruzione di importanti palazzi pubblici mirava a rappresentarsi nella sua natura di città-stato. Venezia trovò per secoli nel sale la sua fortuna, come lo fu la seta per i Cinesi o come lo è oggi il petrolio per gli Arabi.

Alberta Bellussi

Leave a comment

Your email address will not be published. Required fields are marked *