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La sopa coada


La “sopa coada“, tradotta in italiano “zuppa covata”, è uno dei piatti tipici della tradizione e della storia della Marca Trevigiana.

Per chi non è del posto è, in parole povere, un pasticcio di piccione, anche se definirlo così è altamente riduttivo. È un piatto molto asciutto, tanto che a volte si accompagna con una tazza di brodo bollente da consumare a parte o da versarvi sopra. ‘Coada’, perché doveva ‘covare’, ovvero sobbollire per ore e ore concentrando il sapore.

Questo piatto può essere preparato con due tipi di carni, quella di piccione in gran parte della provincia o quella di polli nella zona di Motta.

L’arrivo in Veneto della colombicoltura va attribuito ai Longobardi, che abitavano in nuclei sparsi dominati da torri che avevano sia una funzione difensiva che quella di rifugio per questi uccelli. Secondo altri, invece, l’allevamento dei piccioni, inizia, proprio nel Cinquecento, come dimostrato dalla frequenza con cui gli architetti, Palladio per primo, dotavano le ville di colombaie monumentali. In dialetto si parla di colombo ‘torresan’.

I trattati di cucina e i vari ricettari scritti dal 1300 al 1700 erano, quasi sempre, stampati a Venezia. I nobili veneziani conoscevano tutte le ricette realizzate dai grandi cuochi nelle corti italiane. La ricetta della sopa coada di Cristoforo da Messisbugo, cuoco degli estensi, tra i migliori del Rinascimento, fu presto conosciuta a Venezia e già nel corso del ‘500 era arrivata lungo il Sile a Treviso, la versione cittadina coi piccioni   e lungo la Livenza a Motta, la versione campagnola con i polli. A Motta c’erano alcune locande, lungo il porto sulla Livenza, s’impossessarono della ricetta e cominciarono a prepararla per i lavoratori del porto – soprattutto buranei – che arrivavano a Motta con i barconi trainati da cavalli lungo il margine del fiume. Da allora la sopa coada si prepara a Motta di Livenza nella ricetta con carni bianche, in particolare, galline, polli, capponi.

 

INGREDIENTI

2 piccioncini novelli completi di fegato; circa 1,5 l di ottimo brodo di carne sgrassato; circa 300 g di pane casareccio non condito; 2 cucchiai d’olio extravergine d’oliva; 2 dita di vino bianco secco; 100 g di grana grattugiato; 60 g di burro; 1 cipolla; 1 carota; 1 costa di sedano; sale e pepe.

Togliete testa e zampe ai piccioni e fiammeggiateli. Svuotateli, divideteli in quarti, lavateli e asciugateli. Lavate e asciugate i fegatini.  Scaldate l’olio e la metà del burro in una casseruola e fate rosolare dolcemente i pezzi di piccione insieme a un trito di sedano, carota e cipolla. Girateli spesso e quando avranno preso un colore, salate e pepate e bagnate con il vino. Quando è sfumato, coprite e proseguite la cottura, a fuoco dolce per circa tre quarti d’ora, aggiungendo poco brodo quando necessario. Negli ultimi dieci minuti aggiungete i fegatini. A cottura ultimata, quando i piccioni saranno tenerissimi, disossateli con le mani, riducendo la carne a filettini.  Rimettete la carne nel fondo di cottura insieme ai fegatini affettati e fate bollire le ossa nel brodo per una mezz’ora.

Tagliate il pane a fettine di 1/2 cm, tostatele e fatene uno strato in una pirofila a bordi alti con il fondo ben imburrato. Bagnate il pane con un mestolo di brodo e spolveratelo con il formaggio.

Distribuitevi la metà dell’intingolo di piccione e coprite con un altro strato di pane.

Ancora brodo, formaggio e carne e infine un ultimo strato di pane e formaggio.

Versate un mestolo di brodo caldo e mettete la casseruola nel forno a 140° per un paio d’ore. Unite ogni tanto un mestolo di brodo ripetendo l’operazione cinque o sei volte, via via che la sopa si asciuga. Alla fine la sopa coada avrà l’aspetto di un pasticcio di pane e carne e si serve, caldissima, come sostanzioso piatto unico. Accompagnate il piatto con una tazza di brodo bollente con il quale si può rendere più morbida la zuppa. (Gambero Rosso).

Alberta Bellussi

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