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La parola SCHEI… dove ha origine?

Ma lo sai che origine ha la parola SCHEI… che tutti i veneti usano quando parlano di denaro?

L’origine della parola schei poggia le sue radici nella storia vicina.

Per giungere all’origine etimologica del termine veneto indicante il denaro dobbiamo guardare alla prima metà dell’Ottocento, all’epoca del Regno Lombardo-Veneto (1815-1866). In quel periodo il  Veneto si trovava sotto la dominazione austro-ungarica. La parola schei deriva,   infatti, dall’abbreviazione di Scheidemünze, ossia i centesimi della moneta dell’Impero Austro-Ungarico.  I veneti avevano accorciato nel linguaggio ora questa lunga parola per loro impronunciabile; quindi schei e, di riflesso, scheo al singolare.

Schei è una parola che appartiene al nostro linguaggio e fa parte della nostra quotidianità. Il termine è utilizzato tutt’oggi anche per indicare qualcosa di piccole dimensioni (“ceo fa un scheo”) o di breve lunghezza (“sposteo de vinti schei”).

C’è poi un’altra parola che in Veneto si usa per indicare il denaro ed è la parola “franco” andata però in disuso con l’entrata in vigore dell’euro. Secondo alcuni sarebbe un retaggio dell’epoca napoleonica. Altri sostengono che sia   un’altra moneta austriaca, che riportava l’abbreviazione ‘Franc.’, indicante il nome dell’allora imperatore Francesco Giuseppe.

Proverbi

Chi no ghe fa cont de un scheo no val un scheo.

Schéi e amicìsia òrbise a giustìsia

I schei fà balare i sorzi.

I schei no i ga ganbe ma i core.

I schei porta l’oca al paron.

I schei vien de passo e i va al galopo.

Alberta Bellussi

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Sai dove nasce la parola Spritz?

Una curiosità frivola…

Non c’è giornata in cui non si entri in un bar e non si senta richiedere uno Spritz.

Lo spritz, chiamato comunemente  spriss o sprisseto, è l’aperitivo più comune  del Nordest.

La ricetta la sanno tutti ma lo spritz, come il caffè,  ha varie personalizzazioni più acqua, più  Prosecco,  con  Aperol o Campari o Martini e una spruzzata di selz o senza.

Insomma la ricetta è quella ma la storia qual è?

Lo spritz sarebbe nato nell’Ottocento, durante il periodo della dominazione Asburgica in Veneto.

I soldati, i lavoratori e i diplomatici dell’impero asburgico si erano  presto conformati all’abitudine veneta di bere vino in osteria però erano disabituati alla gradazione troppo elevata dei vini nostrani e quindi erano  soliti chiedere agli osti di spruzzare un po’ d’acqua nel vino.

 “Spritzen!”, infatti, in tedesco  è “spruzzare”;  l’oste serviva un bicchiere di vino diluito con acqua, il neonato spritz era semplice e di poche pretese.

Nei primi anni del ‘900, l’abitudine dello sprissetto rimane  e  iniziano a diffondersi i sifoni per l’acqua di Seltz, acqua gassata con un particolare procedimento di addizione, grazie a cui fu possibile rendere frizzante anche lo spritz composto da vini fermi e dal basso grado alcolico.

Questa evoluzione fu molto gradita  alle nobildonne austriache che sorseggiavano con gusto una bevanda leggera, dotata di quel tocco di sofisticazione in più dato dall’aggiunta di selz.

Questa era solo la prima delle molte ricette creative che hanno fatto nascere molte varianti legate al territorio o  all’estro del barista.

Non avendo una ricetta ufficiale lo spritz lascia spazio alla creatività.

C’è chi calibra le aggiunte in modo da preservarne la colorazione rossa e c’è chi rimarca il colore diverso come nota distintiva. Esempio più noto: lo spritz bianco, ottenuto dall’aggiunta di Martini bianco.

Lo spritz rosato si ottiene invece sostituendo al prosecco un vino rosè e aggiungendo, a piacimento, sciroppo di rose. C’è poi chi si sbizzarrisce con l’aggiunta di frutta, facendo virare l’aperitivo sullo stile del cocktail estivo.

Spazio alla fantasia e Buona estate.

Alberta Bellussi

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Ma lo sapevi che la parola  CIAO…è di origine veneta?

Questo termine di saluto amichevole della lingua italiana ormai lo sentiamo pronunciare in molte parti del mondo; si è diffusa ovunque, infatti, a seguito delle migrazioni degli italiani, ed  è una delle parole della lingua italiana più conosciute al mondo. E’ entrata come saluto informale anche nel lessico tedesco, francese (tschao), ungherese (csáo), lo spagnolo (chao), portoghese (tchau), albanese (çao/qao), bosniaco  (ćao), bulgaro, macedone, russo (чао  / čao), ceco, lettone (čau), esperanto, slovacco, sloveno (ĉaŭ), estone (tšau), lituano (čiau), maltese (ċaw), rumeno (ciau), serbo, croato ( ћао,  ćao ), turco (çav), vietnamita chào.

L’origine di questa parola però è, forse, meno nota.

Ciao viene dal dialetto veneto, precisamente da s-ciavo. S-ciavo (successivamente contrattosi in s-ciao e poi in ciao) significa ‘schiavo’, che deriva a sua volta dal neolatino sclavus, ovvero schiavo.

Era usato dai servi nell’atto di rivolgersi ai loro padroni nella Venezia del ‘700. Il significato del saluto, com’è facile intuire, equivaleva a: ‘servo suo’, ‘ai vostri ordini’.Anche attualmente, In Austria e in Baviera un comune saluto è “servus” e anche in italiano qualcuno dice ancora “servo suo!”

Ma così come altre espressioni di saluto – ad esempio “servo suo” – si usava per esprimere rispetto profondo, rispetto che si desiderava rinnovare ad ogni incontro mettendosi simbolicamente a disposizione dell’altro come un servo, come uno schiavo ora è, invece, un saluto informale.

L’espressione «schiavo vostro» o «servo vostro», comune secoli fa, si ritrova, tra l’altro, nelle commedie di Goldoni (1707-1793)in cui viene pronunciato con superiorità da nobili altezzosi e cicisbei; ne ‘La locandiera’, ad esempio, il Cavaliere di Ripafratta si congeda dagli astanti con «Amici, vi sono schiavo».

“Ciao” è infatti entrato nella lingua italiana solo nel corso del Novecento.

Questa parola, ora, rappresenta in tutto il mondo l’italianità; un saluto ormai divenuto internazionale e riconosciuto ovunque che si potrebbe pensare di non considerare più solo informale e strettamente confidenziale, ma adatto ad un numero di circostanze ben  più ampio.

Alberta Bellussi