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I burci poesia del passato


Bello il Sile e belli i segreti del suo paesaggio con il cimitero dei burci.

Questi resti di imbarcazioni appartengono a quei tasselli di una storia veneta che da sempre mi affascina e che mi sembra siano piccoli anelli della catena che forma il nostro DNA culturale.

Il cimitero dei burci nel Parco del Sile, rappresenta il sito archeologico più vasto che ospita questa tipologia di imbarcazioni.

Il burcio era una barca locale da lavoro, utilizzata in Veneto tra il Medioevo e gli anni ’70 del ‘900 ed è da tempo estinto.

E’ una grande barca il cui fondo, piatto, arrivava fino all’estremità superiore della prua. Di costruzione molto solida, adibita al trasporto e usata nella bassa valle Padana, principalmente sui canali veneti, sul Po sino a Pavia e sul Po di Volano sino a Ferrara. Veniva costruito a Chioggia, Padova, nel Delta, Adria e le sue dimensioni erano molto diverse, con portata variabile dalle 35 alle 180 tonnellate.  La parte esterna dello scafo, immersa nell’acqua, impregnata di pece, era di colore nero e i fianchi, di colori vivaci, a volte venivano decorati.

I tre uomini necessari per portare il burcio, erano il paròn, il marinéro e il morè.

Il paròn era il capitano, il marinéro (marinaio) eseguiva le manovre e il morè (mozzo) si occupava dei pasti e delle pulizie. Due strette aperture quadrangolari (fondèi) con una porticina in legno sul fasciame di coperta, una davanti e una dietro, permettevano di calarsi “sotto prora” (sòto pròa) o “sotto poppa” (sòto pupa), dove c’erano gli alloggi di barcari e capobarca.

Il burcio era tutto: era la casa e lo strumento di lavoro. Nonostante gli spazi fossero ristretti, non mancava niente.  Per il riposo vi erano delle cuccette, riparate alla meglio dall’umidità con della tela cerata. Tale accorgimento tuttavia serviva a poco e “Tante volte dormiimo bagnai…” e dormire con le coperte bagnate, soprattutto d’inverno, magari dopo una pioggia che arrivava a penetrare tra le fessure sul legname, non era una bella esperienza. Per scaldarsi però si faceva presto: la cucina economica in cui ardeva la legna garantiva tepore.

I burci sono ben noti negli studi e ricerche etnografiche ed antropologiche, ma di fatto queste imbarcazioni erano mai state studiate ed indagate su basi tecnico-archeologiche.

Essi sono stati parte della storia socio-economica del Sile e dei territori limitrofi sono un ulteriore tassello della cultura veneta dalla quale veniamo.

L’abbandono dei burci è avvenuto in un periodo storico-economico segnato dall’avvento del moderno trasporto su gomma, trasformando completamente il paesaggio fluviale e le attività ad esso legate. Documentare questi relitti è anche e soprattutto un modo di raccontare e far rivivere la memoria degli uomini e delle donne del territorio, che per generazioni hanno costruito, armato e navigato su queste imbarcazioni.

Oggetti che sono icone di un pezzo della nostra storia passata che ci appartiene e che la dobbiamo gelosamente tutelare ma che spesso lasciamo sfumare e perdiamo per pigrizia.

Vi invito a fare una bellissima passeggiata nel paesaggio del Sile.

Alberta Bellussi

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