Follow Me

Close
By

In autunno, negli scaffali dei fruttivendoli e nei banchi del mercato, appaiono come d’incanto i rossi radicchi di Treviso, ormai si trovano in tutta Italia ma in Veneto li aspettiamo con l’acquolina in bocca. Con questo ortaggio si possono fare ottimi antipasti, primi piatti, secondi e anche dolci; insomma permette a qualsiasi appassionato di cucina di dare sfogo alla sua fantasia culinaria.

In botanica la specie spontanea è chiamata “Cichorium Intybus L.”  e si trova nel territorio da sempre, conosciuta volgarmente come cicoria selvatica. Sono stati i continui esperimenti e prove per conservarlo meglio: gli innesti, le variazioni fatte in modo inconscio che lo hanno fatto diventare il pregiato e famoso radicchio rosso di Treviso che è oggi, e che qui ha trovato il suo terreno e clima ideale.

La sua storia è un po’ incerta ma nel 2007 Tiziano Tempesta del Dipartimento TESAF, Università di Padova, si è accorto che nelle Nozze di Cana (1579-82) di Leandro da Ponte detto Bassano, vi sono degli ortaggi e tra questi un cespo di radicchio rosso trevigiano.

Però la storia del radicchio rosso identificato come pregiato ortaggio invernale simbolo di Treviso, avviene per opera di Giuseppe Benzi che era un agronomo lombardo trasferitosi in città, nel 1876, come insegnante all’istituto tecnico Riccati e che divenne responsabile dell’Associazione Agraria Trevigiana con la quale il 20 dicembre 1900, inaugurò la prima mostra dedicata alla rossa cicoria proprio sotto la  Loggia di piazza dei Signori.

La mostra del radicchio da quella data in avanti venne sempre fatta a Treviso; fu interrotta solamente in due occasioni: durante la grande guerra, quando Treviso verrà, di fatto, a trovarsi in prima linea, e negli ultimi due anni della seconda guerra mondiale.

A partire dal 1970 alla mostra di Treviso si aggiungeranno tutta una serie di mostre periferiche: di Santa Cristina, Preganziol, Zero Branco, Mogliano, Lughignano, Dosson, Rio San Martino di Scorzè, Martellago.

Come si arriva dalla cicoria al radicchio croccante di Treviso?

In realtà non esiste una vera e propria storia scritta e non ci sono testimonianze precise ma come accade spesso  la leggenda si confonde con la realtà.  Ci sono molte storie che, ancora oggi, i vecchi contadini amano raccontare. C’è chi parla di uccelli che hanno lasciato cadere il seme di questa pianta speciale sul campanile del paese di Dosson in tempi lontanissimi; chi parla di frati che hanno saputo trovare e conservare con cura questo seme; chi ancora racconta di una piantina che cresceva spontanea lungo i fossi e ai bordi degli orti finché un contadino non scoprì la possibilità di trasformarla nel croccante radicchio grazie alla tecnica dell’imbianchimento.

L’eclettico Giuseppe Maffioli, studioso di cultura veneta nella sua rivista “Cucina Trevigiana” (1983)  diede una sua personale spiegazione che però si rivelò un falso storico. Egli ipotizzò una partecipazione della nascita del radicchio  (1860-1870) di Francesco Van Den Borre, specializzato nell’allestire parchi e giardini, che giunse a Treviso dal Belgio, a villa Palazzi, per realizzare uno dei più bei complessi di verde annesso a una villa veneta, secondo un prototipo di giardino all’inglese. La sua esperienza anche nelle tecniche di imbianchimento già da molto in uso per le cicorie belghe, avrebbe potuto essere utile allo sviluppo del prodotto trevigiano. Il figlio di Francesco, Aldo, continuatore della sua opera e benemerito personaggio trevigiano, escluse tuttavia questa ipotesi a suo tempo.

C’è poi la tradizione orale dai racconti di  Silla Bovo, un pensionato di Treviso che da ragazzo frequentava gli Artuso e i Reato, vecchi agricoltori di S. Angelo, di aver sentito dire da loro che tutto era iniziato quando qualche contadino della zona un inverno portò a casa dei radicchi di campo ammassati in una carriola. I radicchi furono dimenticati in un angolo finché una sera, durante il filò, uno della famiglia avvicinatosi alla carriola estrasse dal mucchio una piantina e, tolte le foglie esterne ormai appassite e guaste, si trovò fra le mani con sua grande sorpresa un bel radicchio dal cuore sano e dal colore rosso vivo. E’ molto probabile, infatti, che la scoperta di trasformare la cicoria invernale nel rosso e croccante radicchio di Treviso sia dovuta a un fatto puramente casuale, come peraltro è avvenuto non di rado in molte altre branche dell’attività umana.

Come avviene l’imbianchimento?

La ragione di questa pratica però non risiede solamente nella variazione di colore, con l’imbianchimento infatti, il radicchio perde gran parte del suo sapore amaro, fino ad acquisire un retrogusto dolce, mentre le sue foglie risultano più morbide e meno fibrose.

L’imbianchimento del radicchio tardivo di Treviso, si effettua da novembre in poi. Si estirpano le piante dal suolo, stando bene attenti a non lesionare le radici della pianta. Si prende una cassetta di plastica o di legno. Si buca il fondo della cassetta e si riempie per un quarto con della sabbia umida e si piantano i cespi di radicchio, addossandoli l’uno all’altro per farli restare in piedi e in modo tale che il colletto (punto di passaggio tra radici e foglie) non sia a contatto con il materiale sabbioso. Si copre la cassetta con un materiale schermante (cartone o teli scuri) e si deve mantenere sempre la sabbia sempre umida.

Dopo massimo tre settimane il radicchio sarà perfettamente imbianchito e pronto per essere gustato.

 

Risotto radicchio e salsiccia

INGREDIENTI (4-6 persone)

300 g di radicchio rosso di Treviso I.G.P. tardivo o precoce

200 g di salsiccia magra trevigiana

1 cipolletta

400 g di riso nano vialone veronese I.G.P.

olio extra vergine di oliva

1 noce di burro

formaggio Grana

sale, pepe

acqua calda qb

 

PREPARAZIONE

Si prepara un leggero soffritto di cipolla affettata finemente. Quando si mostrerà leggermente imbiondita, si uniranno la salsiccia sminuzzata e il radicchio rosso di Treviso ridotto a piccoli tranci. Si lascia un po’ coperto in modo che gli ingredienti rilascino la loro acqua naturale, quindi si fa restringere il sugo fin quasi a rosolarlo. Solo allora si aggiunge il riso. Lo si rimesta per qualche minuto per farlo tostare e insaporire, aggiungendo di tanto in tanto un po’ di brodo (per mantenere l’umidità necessaria ed impedire un’eccessiva e dannosa temperatura di cottura). Verso la fine si aggiunge il resto del brodo in modo da rendere il riso assai morbido aggiungendo, inoltre, una noce di burro e una spolverata di formaggio grana grattugiato di fresco, che lo renderanno definitivamente cremoso.

 

Alberta Bellussi